Specchio d’acqua a 1940 metri sul livello del mare, tra leggenda e realtà, nel cuore del Parco dei Monti Sibillini

Testo e foto Fausto Moroni & Barbara Baldoni

 

Celato dalle più alte vette dei Monti Sibillini, il Lago di Pilato è ancora oggi avvolto nelle nebbie della leggenda. Chi vi giunse per la prima volta vide le sue acque completamente rosse e pensò di essere arrivato nel luogo in cui, per qualche via misteriosa e ignota, il regno dei viventi entrava in comunicazione con quello sotterraneo dei morti. Fu da allora che streghe, stregoni e negromanti iniziarono a frequentarlo per celebrarvi i loro riti magici e per consacrare nelle sue acque il famoso “Libro del Comando”. Nell’Archivio Storico del Comune di Montemonaco è conservata gelosamente una pergamena del XV secolo, tradotta dal Direttore dell’Archivio Arcivescovile di Lucca ed egregiamente presentata dal Prof. Paolo Aldo Rossi, a testimonianza che il lago, in epoca tardo medievale, era frequentato da cavalieri dediti alla nobile arte dell’alchimia provenienti da ogni parte d’Europa.

Ma l’origine del suo nome è ben più antica: si racconta che Ponzio Pilato, prima di morire, chiese all’imperatore Tiberio di far trainare il suo cadavere dai bufali finché non fosse trovato un luogo degno per la sua sepoltura. Giunto fino ai Monti Sibillini, il suo corpo fu gettato nelle acque del lago, dove scomparve per sempre, inghiottito dai suoi rosseggianti flutti. Nonostante non vi siano mai stati ritrovati i resti di Ponzio Piato, sia stata data una spiegazione scientifica al diventar rosso delle sue acque e non sia più meta di streghe, stregoni e cavalieri, ma semplicemente di escursionisti e appassionati di montagna, un’aurea di mistero il lago la genera anche adesso e le è conferita, “naturalmente”, dal luogo in cui si trova: è nel cuore del Parco dei Monti Sibillini, a 1940 metri sul livello del mare, incastonato come un gioiello in una valle racchiusa tra le cime del monte Vettore (2476 m) e Cima Redentore (2448 m).

È raggiungibile da più versanti, ma la via più interessante, ma anche più faticosa, parte da Foce, un piccolo paesino 1000 metri più in basso. Dopo aver lasciato la macchina ai margini superiori dell’abitato, inizia l’escursione vera e propria. Il primo tratto attraversa un’ampia valle aperta, il Pian della Gardosa, fino ad incontrare una mulattiera che si addentra in una stretta gola immersa in uno splendido bosco. Il sentiero si fa subito difficile, sia perché è estremamente ripido, sia perché il fondo è costituito da pietre delle più svariate dimensioni che lo rendono pericolosamente scivoloso. Il personale della Guardia Forestale del Parco, per facilitare l’ascensione anche ai meno esperti, ha “costruito” dei gradoni ed istallato un corrimano di legno piuttosto basso, ma senz’altro utile, specialmente nella fase di discesa. Superato questo lungo e difficile tratto all’improvviso si esce dal bosco e il panorama si allarga in un’ampia valle. La vegetazione, man mano che si sale, si fa sempre più scarsa, ma nel periodo della fioritura, che coincide con la tarda primavera inizio estate, lo spettacolo è assicurato e ripaga della fatica. Mille colori punteggiano i versanti della montagna e a volte cascate di piccoli fiori bianchi, come improbabili lingue di ghiaccio, scendono a valle, interrotte solo dallo stretto sentiero.

Dopo aver superato innumerevoli valli pietrose, in un continuo zigzagare che attenua la salita ma allunga notevolmente il cammino, la stanchezza comincia a farsi sentire e dietro ogni tornante fa capolino la sensazione che non si arriverà mai a destinazione. È solo quando si materializza la “certezza” che il lago non può esistere se non nelle antiche leggende e nella fantasia di chi racconta di averlo visto, che un ultimo strappo conduce ad un costone roccioso in cui, meraviglia delle meraviglie, fioriscono le rare stelle alpine dell’Appennino. Piccole, bianche come la neve, protette dalle rocce, rappresentano la quasi invisibile, ma proprio per questo più che mai degna, porta d’ingresso al lago.  Più in basso, infatti, ecco estendersi come un miraggio le sue acque, il cui colore cambia col mutare delle condizioni atmosferiche, e qui, tali mutamenti, sono estremamente repentini. Le acque appaiono grigie e inquietanti quando sono avvolte nella nebbia, turchesi e rilassanti, quasi tropicali, se illuminate dai raggi del sole. Rosse, quando un piccolissimo gambero, che vive solo qui, il Chirocephalus Marchesonii, scoperto dal Prof. Marchesoni nel 1954, decide di riprodursi in massa dando alle acque la sua stessa colorazione.

Il lago ha origini glaciali e, a seconda delle precipitazioni, muta anche la sua portata d’acqua e quindi la sua forma: si divide in due piccoli laghi nei periodi di siccità, oppure mostra il suo classico aspetto ad occhiale quando l’inverno è stato generoso di neve. È comunque affascinante vedere dall’alto questa conca d’acqua, mutevole sia nella forma che nei colori, in cui i ghiaioni circostanti sembrano precipitarvi senza scampo, come attratti da forze ignote. Anch’essi, nonostante siano pietra, così come il lago hanno un aspetto camaleontico, bianchi come una spiaggia esotica sotto i raggi del sole, grigi e carichi di tensione se il cielo è coperto.

Arrivare quassù e trovarsi di fronte questo spettacolo di natura incontaminata, amplificato da condizioni meteorologiche che variano nel giro di pochi minuti e che ne modificano radicalmente la percezione visiva di chi l’osserva, rende di nuovo vive tutte le leggende che aleggiano attorno al lago. Frastornati dalla stanchezza e dal freddo, si rischia addirittura di credere che le storie di cui si è letto con spirito un po’ divertito prima dell’escursione siano davvero reali! Streghe e stregoni preparano le loro pozioni magiche, cavalieri galoppano sulle acque cristalline del lago, vortici impetuosi inghiottono i bufali, e il corpo senza vita di Ponzio Pilato sprofonda veloce nel regno degli inferi. Non sono bastate le acque d’alta quota, pure e incontaminate del lago, a lavare le sue mani, macchiate d’indifferenza ormai per l’eternità.

Le guide stampate danno, come tempo di percorrenza dell’intera escursione, tre ore per arrivare al lago e due e mezzo per tornare, ma se volete fare delle foto aggiungete tranquillamente più di un ora per entrambi i tragitti, e un intervallo di tempo ragionevole di permanenza al lago per riposare, scattare foto e mangiare. Per effettuare questa escursione è opportuno indossare scarpe da trekking, portare acqua, viveri, creme solari da mettere nelle parti di cute esposte al sole, occhiali da sole, cappello e un capo piuttosto pesante, anche in piena estate, infatti, in alta quota può far freddo. Nel caso, invece, non si voglia intraprendere l’escursione verso il lago di Pilato, il Parco dei Monti Sibillini merita comunque una visita. Luoghi facilmente raggiungibili in macchina o con brevi passeggiate sveleranno al fotografo scorci naturalistici interessanti, basti citare le Gole dell’Infernaccio, dove sarà possibile fotografare l’acqua in tutte le sue forme, o i piani di Castelluccio, famosi per la produzione di lenticchia, ma altrettanto noti nel mondo fotografico per le splendide fioriture che ogni anno colorano i campi e i dolci versanti verso cui dilata l’ampio pianoro. Un consiglio per chi volesse fotografare la fioritura: anche se i campi sono coperti di margherite e papaveri, fiori spontanei, non abbandonate mai il ciglio della strada o del sentiero, addentrandovi fra i fiori per cercare punti di ripresa particolari. Tutti i campi sono coltivati. Se non volete destare l’ira, più che giustificata dei contadini il cui lavoro merita rispetto, rinunciate serenamente a certe riprese!

Per chi ancora non avesse voglia di addentrarsi neanche in facili escursioni tra i monti, il Parco dei Sibillini offre numerosi piccoli centri urbani da visitare, molti di origine medioevale, altri più recenti, ma tutti affascinati, con case in pietra a vista, graziosi balconcini orlati da piante fiorite, ma soprattutto, per allietare i palati più esigenti, ma non solo, non mancano ristoranti e taverne in cui gustare i tipici prodotti culinari della zona, dai famosi salumi ai formaggi, dalle lenticchie alle marmellate dai più svariati gusti, dalle castagne al miele, fino ad arrivare ai primi piatti, elaborati, tutti, con gli originali prodotti della terra e degli animali del Parco dei Monti Sibillini.

Qualunque sia lo scopo della scelta del Parco dei Monti Sibillini, l’agriturismo “La cittadella” è un ottimo luogo per trascorre la vostra vacanza. Immersi nel verde e a pochi chilometri dai punti di maggiore interesse potrete godervi qui tutti i sapori e i colori del Parco, in un ambiente confortevole e ben curato.

Per quanto riguarda l’attrezzatura fotografica, è meglio mantenersi il più leggeri possibile, a meno che non siate escursionisti abituali e quindi estremamente allenati. Solo in quest’ultimo caso portate il cavalletto. Altrimenti sarà sufficiente una fotocamera e obiettivi che vadano da un grandangolare spinto fino ad un medio tele, meglio, sempre per una questione di peso, se tali focali sono coperte da obiettivi zoom! Del cavalletto al momento dello scatto si sentirà sicuramente la mancanza, sia perché per fotografare fiori e panorami si ha bisogno di tempi piuttosto lunghi, sia perché la fatica può rendere le mani tremolanti. Quando è possibile si può utilizzare come sostegno lo zaino, oppure si può adottare la posizione di scatto cosiddetta della massima stabilità, ovvero si impugna la fotocamera stando seduti con i gomiti appoggiati alle ginocchia e si scatta nella pausa che intercorre tra l’espirazione e l’inspirazione. Le pellicole a bassa sensibilità sono senza dubbio le migliori, ma, non avendo il cavalletto e considerando che in montagna il sole può coprirsi facilmente, qualche pellicola più sensibile potrebbe tornare utile, così come il filtro polarizzatore, che eliminerà o ridurrà, alla ricomparsa del sole, i riflessi sulla superficie del lago e saturerà i colori. Nel caso di attrezzatura digitale, oggi sempre più diffusa, valgono le stesse regole, con il vantaggio che se il sole si copre non è necessario cambiare pellicola, ma semplicemente basterà aumentare la sensibilità.

     

     

 

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