Incontri ravvicinati con l'Africa ed il suo suggestivo mondo. Diario di un viaggio fotografico bellissimo e indimenticabile

Testo e foto di Fausto Moroni

    Al Masai Mara Nationale Game Reserve in Kenya il bagliore rosso del cielo annuncia l’arrivo di un nuovo giorno. La notte, come ogni notte, non è stata tranquilla. Piccole e grandi tragedie si sono consumate nell’oscurità della savana. La vita si è confusa con la morte. Solo la luce del giorno farà chiarezza sulle carcasse assalite da uccelli necrofagi e su carnivori nervosi e ancora affamati. Eppure quando il sole è nascosto dietro l’orizzonte e i dettagli delle cose non sono ancora definiti mi assale la sensazione che l’equilibrio non può essere che qui, nella savana. Tutto è pervaso da un alone di mistero e l’atto sublime della bellezza si compie nell’attimo stesso in cui essa inesorabilmente svanisce. Che cosa accadrà oggi sotto questo cielo africano? La domanda è banale, ma contiene in sé il concetto stesso di “safari”. 

   Stiamo seguendo le tracce di quattro ghepardi e, se riusciremo a trovarli, li seguiremo per tutto il giorno fino al tramonto, sperando di non disturbarli e di riuscire a cogliere qualche loro segreto. Joseph, il nostro autista guida masai, ci ha dimostrato la sua abilità di game driver e la nostra fiducia nei suoi confronti è ormai incondizionata. Il sole è sorto da poco e abbiamo già attraversato zone di savana piatta, boschetti di acacie e una piccola depressione paludosa in cui affiorano sedimenti di sale. Abbiamo incontrato leoni, elefanti, gazzelle, giraffe, gru coronate e altri uccelli africani, ma dei quattro ghepardi ancora niente. Una iena attraversa l’orizzonte, forse attratta da un lontano odore di sangue, un gruppo di avvoltoi vola alto sopra le nostre teste per poi sparire nella stessa direzione della iena. Noi stiamo seguendo altre tracce, che io non so ancora decifrare. Attraversiamo paesaggi dalla bellezza essenziale e sotto un cielo percorso da rapide nubi arriviamo in uno dei famosi luoghi lungo il Mara River in cui annualmente oltre un milione di gnu attraversa il fiume dando vita a quello straordinario spettacolo noto con il nome di Great migration. La scena è apocalittica. Un numero indefinito di carcasse di gnu giace lungo le rive del fiume. Uccelli necrofagi saltano su quei corpi inanimati e gonfi nutrendosi della carne in putrefazione e maleodorante. Il crossing è avvenuto qualche giorno prima. Riprendiamo così la ricerca dei quattro ghepardi.

   D’improvviso, mentre percorriamo un ampio tratto di savana che i masai hanno bruciato qualche giorno prima, li vediamo comparire avvolti dalla cenere che abbiamo sollevato arrivando. Belli e statuari, dal profilo sinuoso, se ne stanno li, quasi come se ci stessero aspettando. Questa è la sensazione che provo nel vederli. In realtà si trovano in quella zona di savana bruciata perché sotto la cenere sta già crescendo l’erba fresca che attira gazzelle e lepri, ovvero le prede preferite del ghepardo. Il gruppo è costituito da una madre con tre cuccioli già abbastanza grandi (si tratta della famiglia di ghepardi protagonista del documentario “Diario dalla Savana” mandato in onda da “Quark Speciale”). Vivranno e cacceranno insieme ancora per poco. La femmina adulta, infatti, abbandonerà presto i tre figli alla ricerca di un nuovo partner per figliare e allevare in solitudine altri piccoli ghepardi. Insegnerà loro a cacciare e a sopravvivere nella savana, li proteggerà dalle iene e dai leoni e giocherà con loro come se fosse la prima volta. Osservarli è un grande piacere, e una fortuna. Sono accasciati all’ombra di un arbusto di acacia, si riposano. Però nel gruppo regna un certo nervosismo. Le loro pance vuote non mentono, sono affamati. I tre figli, uno alla volta, si avvicinano alla madre e le leccano il muso con gesti che potrebbero sembrare d’affetto, e forse lo sono, ma rappresentano anche il rituale preludio alla caccia. E infatti dopo poco si mettono in marcia in direzione di una piccola collina. Li seguiamo e ci accorgiamo che hanno avvistato qualcosa che però noi non riusciamo a vedere: forse fra l’erba si nasconde una piccola lepre. Ed è proprio così. D’un tratto i ghepardi, quasi all’unisono, sferrano l’attacco. L’inseguimento è breve e la lotta impari, quattro contro uno. Tutto si svolge in pochi secondi e anche il banchetto dura poco. Per quattro ghepardi affamati una lepre rappresenta appena un misero antipasto. Ma è meglio di niente. Nervosi e per nulla amichevoli si contendono piccoli pezzi di carne, fino a che della lepre non resta che qualche brandello di pelliccia. Mangiano anche quello. Poi, dopo i soliti gesti con i quali rafforzano la loro complicità, tornano al meritato riposo. Sicuramente non sazi. Passano minuti, forse anche ore.

   Osservare questi animali in Natura fa perdere la cognizione del tempo. Lo sguardo è come rapito dalle sinuosità di quei corpi, dalla bellezza maculata e viva di quelle pellicce, dalla profondità misteriosa di quegli occhi incantatori che a volte ti guardano. Poi uno si alza e con due balzi è sul tetto aperto della nostra jeep. Nel cercare la posizione più comoda lascia cadere la coda all’interno dell’abitacolo, è a venti centimetri dalla mia faccia e dondola. Indietreggio nel sedile e guardo mia moglie impaurita. Joseph ci fa cenno che non è un problema, ma un ghepardo è sopra la nostra testa e non capita tutti i giorni. E´ ancora affamato, e gli animali sono imprevedibili. Così ce ne stiamo immobili in attesa di quella tranquillità interiore che ci consenta di accettare e di godere della nuova e imprevista situazione. Joseph ci rassicura di nuovo, ma il timore di rappresentare un potenziale pasto a pochi centimetri di distanza non è ancora svanito. Solo quando mi rendo conto di essere carne in scatola, preda d’allevamento troppo facile per la quale il ghepardo non degna neanche uno sguardo, mi tranquillizzo e cerco di trasmettere un po’ di tranquillità anche a mia moglie. D’altra parte il ghepardo è salito sulla macchina solo per trovarsi in una posizione più elevata da dove osservare la savana circostante. Nella sua mente, semplice e perfetta, rappresentiamo poco più di niente. Spera di avvistare qualche nuova preda selvatica e libera, quale noi non siamo, e questa volta per fortuna. Di prede non ce ne sono, quindi si accomoda e, a proprio agio, continua il meritato riposo.

   Guardo la sua figura stagliarsi nel blu del cielo africano, potrei accarezzare la sua coda, ma non oso, e non per paura. Nonostante la vicinanza o forse proprio grazie a questa avverto, beffarda, la distanza tra la mia condizione di essere umano catalogato e la sua condizione di essere animale libero. Per un attimo i nostri sguardi si uniscono e il mio e il suo mondo, per un attimo, solo per un attimo, coincidono. Anche questa volta l’Africa è stata generosa con i miei sensi, li ha stimolati tutti fino alla commozione. E´ sufficiente che Joseph accenda il motore per far sì che il ghepardo scenda dal tetto della macchina. Con due balzi è già a terra. Unito agli altri si prepara per una nuova battuta caccia. Hanno puntato un cucciolo di gazzella. Anche questa volta l’esito della loro azione combinata è positivo. Per i quattro ghepardi un altro pasto è assicurato, ma a una cinquantina di metri, sola nella savana, c’è una gazzella che ha perso il cucciolo e che con lo sguardo punterà là dove l’ha visto per l’ultima volta fino a che il suo istinto non le dirà di andarsene. Si avvicina la sera e decidiamo di tornare al lodge. Abbiamo percorso molti chilometri e dobbiamo rientrare prima che faccia buio. Joseph “lancia” la jeep a tutta velocità sulla savana piatta e punteggiata qua e la da acacie ad ombrello.

   Il sole tramonta davanti a me e il vento taglia freddo la pelle del mio viso. Guardo la mia attrezzatura fotografica, spero che si sia l’Africa impressionata nei rullini, poi alzo gli occhi di nuovo verso il sole, lo scenario è incredibilmente bello. Potrei far fermare Joseph e scattare altre foto, ma lascio semplicemente che il vento tagli ancora la mia pelle.

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